Quando l’avvocato è responsabile per la perdita della causa

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1169/2020 (sotto allegata) rigetta il ricorso con cui un cliente che, risultato vincente in primo grado si è poi visto negare la richiesta risarcitoria avanzata nei confronti del suo avvocato, che a suo dire, avendo omesso di compiere alcuni atti difensivi, gli ha fatto perdere la causa. Gli Ermellini chiariscono infatti che per dichiarare la responsabilità dell’avvocato non è sufficiente appurare che egli non abbia adempiuto correttamente ai suoi obblighi professionali occorre altresì accertare che tale condotta abbia recato un effettivo pregiudizio al cliente, anche questo da dimostrare e che la causa avrebbe avuto effettivamente un esito favorevole per il suo assistito.

Un soggetto instaura davanti al Tribunale una causa per accertare la responsabilità professionale dell’avvocato che lo ha difeso in quanto convenuto in un giudizio risarcitorio, perché in un’operazione di scavo per la posa di una conduttura, è stato ritenuto responsabile della rottura di una tubazione, impedendo al proprietario del fondo d’irrigarlo.

Per il soggetto rappresentato, la condanna al risarcimento subita in detta causa è da imputare alla condotta del difensore, che in 4 anni e ben 23 udienze non si è mai opposto ai rinvi richiesti per escutere i testi di controparte e non ha mai eccepito del decadenze delle prove testimoniali. Instaurato quindi il giudizio il giudice competente dichiarava la responsabilità dell’avvocato, ma la Corte d’Appello respingeva la domanda dell’attore.

Il ricorso in Cassazione

Il soccombente ricorre quindi in Cassazione in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente escluso che la condotta del legale non è stata determinante per l’esito negativo del giudizio e per aver omesso l’esame di un fatto decisivo si fini della decisione.

Per il ricorrente, nel giudizio di responsabilità professionale per condotta omissiva al criterio della certezza degli affetti si deve sostituire quello della probabilità che a causa dell’attività omessa la decisione sarebbe stata diversa da quella effettiva, almeno sotto il profilo della perdita di chance rappresentata dall’esito favorevole della lite.

L’applicazione di tale criterio avrebbe potuto condurre, come il giudice di primo grado, alla dichiarazione di responsabilità dell’avvocato per omissione. A conferma della validità di queste affermazioni la decisività della testimonianza di cui l’avvocato non ha eccepito la decadenza, confermato dal fatto che il giudice, dopo un’iniziale non ammissione della stessa, ha poi riaperto l’istruttoria. Responsabile infine la corte di aver in pratica eseguito da capo una nuova istruttoria ma in modo del tutto superficiale, al cui esito è giunto addirittura a una diversa qualificazione giuridica dei fatti.

Avvocato non responsabile se il giudice accerta la responsabilità del cliente

La Cassazione con sentenza n. 1169/2020 dopo la dichiarazione d’improcedibilità per mancato rispetto del termine semestrale e inammissibile per la presenza di censure mescolate ed eterogenee tra loro, nonostante le argomentazioni difensive del ricorrente offerte tramite il deposito di memorie, dichiara il ricorso infondato in ogni caso.

Gli Ermellini rilevano l’assenza di una violazione di giudicato nel caso di specie visto che il giudice è libero di valutare in modo autonomo se l’avvocato è o meno responsabile. “Infatti la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua dei criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva ed il risultato derivatone.”

Non può dirsi integrato neppure il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto, per la cassazione, la Corte d’appello ha sicuramente già valutato ai fini del decidere la mancata eccezione della decadenza testimoniale. Riproporre in sede di legittimità la questione non ha altro scopo che ottenere una nuova valutazione di merito sul punto, non consentita in sede di legittimità.

Per quanto riguarda infine la violazione delle norme previste per accertare il nesso causale gli Ermellini muovono dal rilievo che: “in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivate un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa.”

Nel caso di specie la Corte non ha disapplicato tale principio, ha semplicemente escluso che la mancata escussione dei testi avrebbe condotto a un esito diverso della causa. Nel corso del giudizio è emersa pacificamente la responsabilità della ditta del ricorrente nella rottura della tubazione con conseguente impossibilità per il danneggiato d’irrigare il suo terreno. Circostanza, quella della tubatura confermata dai testimoni, non contestata e neppure contestabile stante la natura dei lavori che il ricorrente stava eseguendo in quel periodo in virtù di un contratto di appalto pubblico, ma soprattutto non sindacabile in sede di legittimità.