Spetta al professionista superare la presunzione che le “complicanze” siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico scientifiche del momento.
Il medico andrà esente da responsabilità solo se fornisce la prova rigorosa di aver tenuto una condotta conforme alle legis artis, restando a tale fine irrilevante che l’evento indesiderato sia classificato quale complicanza e che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacché quel che rileva è se fosse prevedibile ed evitabile nel caso concreto. In altri termini, il medico ha l’onere di provare in concreto l’esatto adempimento della propria obbligazione, e non gli è sufficiente che la sussistenza d’una causa di esclusione della colpa possa essere solo astrattamente ipotizzabile.
Tribunale Roma sez. XIII, 29/12/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
Sezione XIII^ Civile
in composizione monocratica
Il Giudice monocratico della 13^ Sezione civile, dott. Giorgio Egidi, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 64406 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2017
promossa da
K.Z. (C.F. (omissis)), nato a (omissis) (Croazia) il (omissis), residente in Roma, via (omissis), ed elettivamente domiciliato in via Carlo Dossi n. 45, nello e presso lo studio dell’Avvocato Angela Buttazzi (C.F. (omissis)), che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di citazione.
– Attore –
nei confronti di
B.A. (C.F. (omissis)), residente in Roma, via (omissis), rappresentato e difeso, con poteri disgiunti, dagli Avvocati Maria Paola Canino (C.F. (omissis)) e Federico Fiorino (C.F. (omissis)), ed elettivamente domiciliato nello e presso il loro studio, sito in Roma, via Properzio n. 27, giusto mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta.
Convenuto
e nei confronti di
S.S. (C.F. (omissis)), residente in (omissis) ed ivi elettivamente domiciliato in via De’ Gombruti n. 16, nello e presso lo studio degli Avvocati Marco Riponi e Stefano Saguatti che lo rappresentano e difendono, congiuntamente e disgiuntamente, giusta procura appesta in calce alla comparsa di costituzione e risposta.
Convenuto
e nei confronti della
“(omissis)” S.p.A. (P. IVA (omissis)), con sede legale in (omissis) (RA), via (omissis), in persona del legale rappresentante pro-tempore, E.SA., elettivamente domiciliata in Roma, viale Pilsudski n. 118, nello e presso lo studio dell’Avvocato Emanuela Paoletti (C.F. (omissis)) che la rappresenta e difende, congiuntamente e disgiuntamente all’Avv. Prof. Andrea Astolfi (C.F. (omissis)) ed all’Avv. Francesca di Marco (C.F. (omissis)), giusta procura alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta.
– Convenuta –
e nei confronti della
A.E. LTD (P. IVA (omissis)), con sede legale in Milano, via (omissis), in persona del legale rappresentante pro-tempore, Dott.ssa A.G., elettivamente domiciliata in Roma, via Pinciana n. 25, nello e presso lo studio dell’Avv. Stefano Rossi (C.F. (omissis)), che la rappresenta e difende giusta procura alle liti rilasciata su foglio separato, da considerarsi unito alla comparsa di costituzione e risposta.
Terza chiamata in garanzia
e nei confronti della
Z. Public Limited Company (P. IVA (omissis)), con sede legale in Milano, via (omissis), in persona del legale rappresentante pro-tempore dott. P.G., ed elettivamente domiciliata in Roma, via Fabio Massimo n. 95, nello e presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Pieri Nerli, che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta.
Terza chiamata in garanzia
e nei confronti della
U. S.p.A. (P. VIA (omissis)), con sede legale in Bologna via (omissis).
Terza chiamata in garanzia (contumace)
* * *
Oggetto: risarcimento del danno cagionato da responsabilità professionale medica odontoiatrica.
Conclusioni: come da note di trattazione scritta, depositate – ex art. 221, comma VI, L. 77/2020 stante l’emergenza sanitaria in atto, per l’infezione da Covid-19 – per la prevista udienza del 12.04.2022, conclusioni da intendersi qui integralmente trascritte e riportate.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 29.09.2017, K.Z. ha chiesto accertarsi la responsabilità sanitaria del dott. B.A., del dott. S.S. e della (omissis) S.p.A. nell’errato trattamento della malocclusione dento-scheletrica di II^ classe da cui era affetto e, per l’effetto, ha chiesto la condanna dei convenuti medesimi, in solido fra loro, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali (per spese mediche sostenute e/id future) e non patrimoniali (danno biologico e morale) da lui subiti, quantificati in complessivi € 153.582,77.
A fondamento della propria domanda risarcitoria, l’attore K.Z. ha dedotto:
1) che, in data 15.11.2007, si era rivolto allo Studio Dentistico Associato B.A.-P. per risolvere un problema di malocclusione dento-scheletrica di II^ classe;
2) che, a seguito della visita effettuata, il dott. B.A. aveva predisposto un primo preventivo di € 440,00 per nr. 2 sedute di igiene, set radiografico completo e visita ortodontica;
3) che, successivamente, in data 21.11.2007, sulla base degli esami radiografici eseguiti (orto- panoramica e tele-cranio in proiezione laterale), il dott. B.A. gli aveva sottoposto un piano di trattamento che prevedeva set radiografico completo, visita ortodontica, sedute di igiene orale e ortodonzia fissa metallica, per complessivi € 3.060,00; in data 26.11.2007 – vista la complessità del caso – il convenuto aveva predisposto un secondo preventivo di spesa per l’ortodonzia fissa metallica del 1° e 2° anno e cura di carie di II classe estetica dei denti 24, 35, 34, per un totale pari ad € 5.180,00, a cui allegava certificato attestante che i molari inferiori e superiori di sinistra 26 e 36 erano a rischio di estrazione;
4) che, quindi, sempre su indicazione del dott. B.A., si era sottoposto a visita presso la struttura ospedaliera privata, (omissis) Hospital S.r.l., (Società del gruppo (omissis) S.p.A.). presso il chirurgo maxillo-facciale dott. Stefano S.S., il quale gli aveva prospettato, in aggiunta, anche la necessità di un intervento ortodontico-chirurgico, da svolgersi in due tempi:: 1° intervento di espansione chirurgica del palato e di allineamento dell’arcata inferiore (con preventivo di spesa pari a € 3.003,14; con tempo ortodontico dopo almeno 6 mesi di contenzione); 2° intervento chirurgico di osteotomia di avanzamento della mandibola + genioplastica (per aumentare la verticalità del II medio del volto e diminuire il solco labio-mentale);
5) che, dopo un primo periodo di contenzione, in data 23.05.2008, esso attore si era sottoposto al primo intervento chirurgico maxillo-facciale di espansione del palato, previa apposizione, ad opera del dott. B.A., di un estensore palatino che veniva attivato nel corso dell’intervento chirurgico in questione; il giorno successivo, era stato dimesso, con diagnosi di “ipoplasia del mascellare superiore”;
6) che, dopo varie visite di controllo ed esami strumentali (RX tele-cranio e orto-pantomografia) e terapia ortodontica fissa, il dott. B.A., con certificato del 16.02.2010, rappresentava al chirurgo dott. S.S., la presenza di processi di rizolisi degli incisivi superiori 12-11-21-22, con l’invito a non sollecitare tali elementi;
7) che, in data 28.02.2010, esso attore si era sottoposto al secondo intervento chirurgico maxillo- facciale “di osteotomia sagittale dei rami mandibolari, avanzamento dell’arco; osteosintesi affidata a 3 viti bicorticali a dx e – in sede di dimissioni – a dx e 3 a sx in titanio applicate per via transcutanea; osteotomia del mascellare superiore sex. La linea di Le Fort I, suo avanzamento, rotazione ed abbassamento con osteosintesi affidata a 6 miniplacche e viti in titanio; genoplastica di avanzamento e sua osteosintesi affidata a 2 miniplacche e viti in titanio; sutura cutanea di nylon; sutura endorale in materiale riassorbibile”;
8) che il dott. B.A., avendo rilevato il peggioramento dello stato di salute degli incisivi superiori ed inferiori conseguente alle cure sino ad allora effettuate (per la presenza di un rilevante riassorbimento radicolare), gli aveva proposto ulteriori preventivi per interventi correttivi, rifiutati da esso attore, in quanto aveva oramai perso fiducia nell’operato del convenuto;
9) che, nell’anno 2010, esso attore aveva quindi promosso una prima azione di risarcimento per i danni subiti, convenendo in giudizio lo studio Associato B.A.-P. e la Apparecchio Invisibile S.r.l., chiedendo risarcimento danni per la somma di € 146.140,00; nelle more di tale giudizio, la Compagnia assicurativa del B.A., la Z. Public Limited Company, aveva liquidato, in favore di esso attore, la somma di € 19.129,00, accettata in conto del maggiore avere;
10) che la CTU medico legale eseguita, nel corso del giudizio di cui sopra, da parte del Dott. M.R., aveva accertato l’errata esecuzione del trattamento ortodontico, sia per la mancata risoluzione della malocclusione, sia con riferimento alla gestione concreta della tecnica adottata e all’insorgenza delle complicanze non tempestivamente individuate (il grave riassorbimento radicolare), cui non erano seguite le necessarie modifiche del modus operandi, con ulteriore aggravamento dello stato di salute;
11) che, però, nonostante l’accertato inadempimento sanitario, con la sentenza n. 13761/2014 del 26.06.2014, il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta da esso attore per difetto di legittimazione passiva, condannandolo anche alla rifusione delle spese di lite (sentenza confermata anche in grado di appello ed oramai definitiva);
12) che, sulla base della CTP svolta dal dott. P.F., erano emerse diverse censure nell’operato dei sanitari i quali avevano proceduto alle cure, senza una corretta pianificazione dei tempi ortodontici in funzione di quelli chirurgici, senza eseguire i necessari esami cefalometrici e senza rilevare tempestivamente la complicanza del grave riassorbimento radicolare (verificatasi nel corso delle cure), con conseguente peggioramento della condizione preesistente, per la mobilità patologica e trauma occlusale, con conseguente danno complessivo pari ad € 153.582,77, di cui: € 15.000,00 a titolo di danno biologico permanente pari al 9% del totale; € 3.500,00, a titolo di danno biologico temporaneo; € 30.000,00 per spese mediche future, € 5.000,00 per cure paradontali; € 80.000,00 per interventi di chirurgia implantare per la sostituzione degli elementi dentali 1.1-1.2- 2.1-2.2 ormai compromessi; € 10.000,00 a titolo di danno morale, parti al 60% del valore punto per il 9% di invalidità permanente, oltre spese sanitarie sostenute pari ad € 7.082,77.
Con comparsa di costituzione e risposta del 3.01.2018, si è costituito nel presente giudizio il dott. S.S., deducendo:
1) che entrambi gli interventi da lui eseguiti avevano lo scopo di correggere la dismorfia dento-scheletrica del volto; in particolate, l’intervento del 22.05.2008 era stato correttamente eseguito e non aveva avuto alcuna complicazione né nell’immediato né a distanza; anche il secondo intervento del 25.02.2010 era stato eseguito correttamente, secondo le linee guida, e non aveva avuto alcuna complicazione maxillo-facciale, tanto che, alla dimissione, il paziente appariva in occlusione interdentaria corretta;
2) che, al contrario, l’attore K. non si era presentato ai controlli ambulatoriali previsti, onde non era stato possibile verificare se lo stesso si fosse attenuto o meno alle raccomandazioni contenute nel certificato di dimissioni;
3) che, peraltro, come era emerso anche dalla CTU svolta dal dott. MA., la responsabilità dei danni lamentati era da attribuirsi esclusivamente all’odontoiatra dott. B.A.;
4) che, ferma restando l’assenza di responsabilità in capo ad esso convenuto, l’attore non aveva fornito la prova relativa al quantum della domanda risarcitoria;
5) che, in ogni caso, all’epoca dei due interventi chirurgici oggetto di contestazione, esso S.S. era assicurato, per la responsabilità civile, con la U. S.p.A. con polizza n. (omissis), il cui art. 14 CGA, – in base al quale la garanzia operava esclusivamente per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta, nel corso del periodo di efficacia della polizza – era da ritenersi illegittimo e non operante; che, inoltre, esso convenuto – con riferimento al tempo della richiesta risarcitoria – era assicurato con la A.E. Limited, con polizza n. (omissis), la quale prevedeva periodo di retroattività della garanzia pari ad anni 0, qualificandosi anche tale clausola claims made come illegittima, con conseguente operatività retroattiva decennale di tale polizza.
Con comparsa di costituzione e riposta del 12.02.2018, si è costituito nel presente giudizio il dott. B.A., deducendo:
1) di aver correttamente prospettato alla parte attrice il complesso iter terapeutico che avrebbe dovuto affrontare, comprendente trattamento ortodontico e importanti interventi di chirurgia maxillo-facciale e, in particolare, di aver prospettato, in fase diagnostica, i possibili rischi e complicanze connesse all’iter terapeutico;
2) di esservi sempre stato un puntuale coordinamento tra esso odontoiatra ed il chirurgo maxillo- facciale, dott. S.S., così come dimostrato dalla corrispondenza intercorsa tra gli stessi;
3) che il riassorbimento radicolare lamentato era stato monitorato sin dal suo insorgere e comunicato al paziente; in ogni caso, tale riassorbimento non era sfociato – a distanza di dieci anni – nella perdita degli elementi dentari;
4) che, in ogni caso, sussisteva un concorso di colpa dell’attore per la sua prolungata condotta omissiva, non essendosi lo stesso più sottoposto ai successivi controlli post-operatori;
5) che la quantificazione del danno operata dall’attore determinava un’indebita duplicazione delle voci di danno (in particolare, con riferimento alla richiesta di € 30.000,00 per spese mediche future oltre ad € 80.000,00 per implanto-protesi, ed € 5.000,00 per cure paradontali);
6) che l’attore aveva già ricevuto, nel corso del diverso giudizio instaurato nel 2010, la somma di complessivi € 19.129,00 dalla propria Compagnia assicurativa, somma da ritenersi pienamente satisfattiva del danno subito.
Con comparsa di risposta del 15.02.2018, si è costituita in giudizio la struttura sanitaria “(omissis)” S.p.A., contestando l domanda attorea e deducendo:
1) che alcuna complicanza poteva evincersi dall’esame dei referti relativi ai due interventi chirurgici eseguiti presso essa Struttura convenuta;
2) che, a seguito del secondo intervento, dalla radiografia di controllo, era emersa la presenza di “monconi ben allineati, con regolari rapporti occlusali” e, quindi, il paziente era stato dimesso in buone condizioni cliniche, con l’indicazione di mantenere in sito in trazione elastica intermascellare e di tornare a controllo ambulatoriale il 13.03.2010, controllo a cui, tuttavia, il paziente non si era presentato;
3) che, conseguentemente, alcun inadempimento poteva essere imputato al medico chirurgo ed alla Struttura sanitaria, posto che, anche dal successivo controllo effettuato presso il Policlinico Tor Vergata, erano stati riscontrati solamente problematiche di pertinenza odontoiatrica e non maxillo-facciali, tanto meno imputabili a malocclusioni post-chirurgiche;
4) che, tenuta conto anche della genericità dell’atto introduttivo, non era emersa la prova del danno lamentato dall’attore;
5) che, in ogni caso, qualora fosse stata accertata la responsabilità dei sanitari, questi ultimi erano tenuti a manlevare e tenere indenne lessa Struttura sanitaria.
Con comparsa di risposta del 31.05.201, si è costituita in giudizio, la A.E. LTD, in qualità di terza chiamata dal dott. S.S., deducendo:
1) che, in base agli artt. 1 e 4 punti 2 CGA, la polizza azionata n. (omissis) non era da ritenersi temporalmente operativa in relazione al sinistro denunciato, poiché non garantiva l’assicurato per eventi pregressi alla data di efficacia della polizza (stipulata nel novembre 2016);
2) che, in ogni caso, come previsto nelle ipotesi di coassicurazione, la polizza in questione avrebbe operato a secondo rischio, ovvero solo dopo che i massimali previsti dalle altre assicurazioni fossero stati esauriti;
3) che, nel merito, la domanda attorea era ida ritenersi infondata, in quanto risultava già decorso il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2043 c.c. per la richiesta di risarcimento danni nei confronti del dott. S.S., ai sensi della L. 24/2017;
4) che tenuta a manlevare il dott. S.S. risultava essere unicamente la convenuta (omissis) S.p.A., ai sensi degli artt. 1228 e 2049 c.c. per inadempimento della prestazione professionale svolta direttamente dal sanitario ausiliario;
5) che, in ogni caso, Parte attrice non aveva provato né l’an, né il quantum debeatur.
Con comparsa di risposta del 13.07.2018, si è costituita in giudizio – in qualità di terza chiamata dal dott. B.A. – la Z. PUBLIC LIMITED COMPANY, deducendo:
1) che la garanzia azionata era circoscritta al verificarsi delle condizioni di polizza e nei limiti dei massimali previsti; in particolare, la copertura assicurativa era limitata alla quota di responsabilità diretta spettante al proprio assicurato; inoltre, stante la presenza di più assicurazioni, essa avrebbe operato solo a secondo rischio;
2) che, in merito all’operato dell’assicurato dott. B.A., alcuna responsabilità poteva essere imputata allo stesso, il quale si era attenuto scrupolosamente alle linee guida e buone pratiche del settore;
3) che il danneggiato K. non aveva provato né la condotta inadempiente, né il maggior danno subito, né il nesso di causalità tra il comportamento dei sanitari ed il pregiudizio subito;
4) che, in ogni caso, dall’eventuale risarcimento riconosciuto all’attore, doveva essere scomputata la somma di € 19.129,00, già corrisposta da essa Compagnia assicurativa all’attore nell’aprile del 2011.
Alla prima udienza di comparizione del 05.09.2017, verificata la regolarità del contraddittorio e dichiarata la contumacia della U. S.p.A. (altra Compagnia chiamata in causa dal dott. S.S.), le Parti si riportavano ai rispettivi atti introduttivi, chiedendo concordemente concedersi i termini ex art. 183, comma VI, c.p.c.
Depositate le memorie istruttorie, si procedeva all’espletamento della CTU ad opera della dott.ssa Rosanna Franchi (specialista in odontostomatologia) e del dott. N.SI. (specialista in medicina legale).
Depositata la consulenza, previa formulazione di apposita proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c. per la verifica di un possibile accordo conciliativo tra le parti, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.
All’ultima udienza del 12.04.2022, – svoltasi a trattazione scritta ex art. 221, comma IV, L. 77/2020 (stante l’emergenza sanitaria in atto, per l’infezione da Covid-19) – le Parti depositavano regolarmente le note a trattazione scritta, precisando le rispettive conclusioni, da intendersi qui integralmente trascritte e riportate.
All’esito, la causa veniva trattenuta in decisione ex art. 281 quinquies c.p.c., con la concessione dei termini di legge di cui all’art. 190 c.p.c. (decorrenti dalla data di comunicazione della relativa ordinanza) per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di repliche.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda risarcitoria proposta dall’attore K.Z. risulta parzialmente fondata e, pertanto, merita accoglimento nei limiti di seguito precisati.
Nel presente giudizio, K.Z. ha chiesto accertarsi la responsabilità sanitaria del dott. B.A., del dott. S.S. e della (omissis)
S.p.A. nell’errato trattamento della malocclusione dento-scheletrica di II^ classe da cui era affetto e, per l’effetto, ha chiesto la condanna dei convenuti medesimi, in solido fra loro, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali (per spese mediche sostenute e/id future) e non patrimoniali (danno biologico e morale) da lui subiti, quantificati in complessivi € 153.582,77.
A fondamento della propria domanda risarcitoria, l’attore K.Z. ha dedotto:
1) che, in data 15.11.2007, si era rivolto allo Studio Dentistico Associato B.A.-P. per risolvere un problema di malocclusione dento-scheletrica di II^ classe;
2) che, a seguito della visita effettuata, il dott. B.A. aveva predisposto un primo preventivo di € 440,00 per nr. 2 sedute di igiene, set radiografico completo e visita ortodontica;
3) che, successivamente, in data 21.11.2007, sulla base degli esami radiografici eseguiti (orto- panoramica e tele-cranio in proiezione laterale), il dott. B.A. gli aveva sottoposto un piano di trattamento che prevedeva set radiografico completo, visita ortodontica, sedute di igiene orale e ortodonzia fissa metallica, per complessivi € 3.060,00; in data 26.11.2007 – vista la complessità del caso – il convenuto aveva predisposto un secondo preventivo di spesa per l’ortodonzia fissa metallica del 1° e 2° anno e cura di carie di II classe estetica dei denti 24, 35, 34, per un totale pari ad € 5.180,00, a cui allegava certificato attestante che i molari inferiori e superiori di sinistra 26 e 36 erano a rischio di estrazione;
4) che, quindi, sempre su indicazione del dott. B.A., si era sottoposto a visita presso la struttura ospedaliera privata, (omissis) Hospital S.r.l., (Società del gruppo (omissis) S.p.A.). presso il chirurgo maxillo-facciale dott. S.S., il quale gli aveva prospettato, in aggiunta, anche la necessità di un intervento ortodontico-chirurgico, da svolgersi in due tempi: 1° intervento di espansione chirurgica del palato e di allineamento dell’arcata inferiore (con preventivo di spesa pari a € 3.003,14; con tempo ortodontico dopo almeno 6 mesi di contenzione); 2° intervento chirurgico di osteotomia di avanzamento della mandibola + genioplastica (per aumentare la verticalità del II medio del volto e diminuire il solco labio-mentale);
5) che, dopo un primo periodo di contenzione, in data 23.05.2008, esso attore si era sottoposto al primo intervento chirurgico maxillo-facciale di espansione del palato, previa apposizione, ad opera del dott. B.A., di un estensore palatino che veniva attivato nel corso dell’intervento chirurgico in questione; il giorno successivo, era stato dimesso, con diagnosi di “ipoplasia del mascellare superiore”;
6) che, dopo varie visite di controllo ed esami strumentali (RX tele-cranio e orto-pantomografia) e terapia ortodontica fissa, il dott. B.A., con certificato del 16.02.2010, rappresentava al chirurgo dott. S.S., la presenza di processi di rizolisi degli incisivi superiori 12-11-21-22, con l’invito a non sollecitare tali elementi;
7) che, in data 28.02.2010, esso attore si era sottoposto al secondo intervento chirurgico maxillo- facciale “di osteotomia sagittale dei rami mandibolari, avanzamento dell’arco; osteosintesi affidata a 3 viti bicorticali a dx e – in sede di dimissioni – a dx e 3 a sx in titanio applicate per via transcutanea; osteotomia del mascellare superiore sex. La linea di Le Fort I, suo avanzamento, rotazione ed abbassamento con osteosintesi affidata a 6 miniplacche e viti in titanio; genoplastica di avanzamento e sua osteosintesi affidata a 2 miniplacche e viti in titanio; sutura cutanea di nylon; sutura endorale in materiale riassorbibile”;
8) che il dott. B.A., avendo rilevato il peggioramento dello stato di salute degli incisivi superiori ed inferiori conseguente alle cure sino ad allora effettuate (per la presenza di un rilevante riassorbimento radicolare), gli aveva proposto ulteriori preventivi per interventi correttivi, rifiutati da esso attore, in quanto aveva oramai perso fiducia nell’operato del convenuto;
9) che, nell’anno 2010, esso attore aveva quindi promosso una prima azione di risarcimento per i danni subiti, convenendo in giudizio lo studio Associato B.A.-Pavori e la Apparecchio Invisibile S.r.l., chiedendo risarcimento danni per la somma di € 146.140,00; nelle more di tale giudizio, la Compagnia assicurativa del B.A., la Z. Public Limited Company, aveva liquidato, in favore di esso attore, la somma di € 19.129,00, accettata in conto del maggiore avere;
10) che la CTU medico legale eseguita, nel corso del giudizio di cui sopra, da parte del Dott. M.R., aveva accertato l’errata esecuzione del trattamento ortodontico, sia per la mancata risoluzione della malocclusione, sia con riferimento alla gestione concreta della tecnica adottata e all’insorgenza delle complicanze non tempestivamente individuate (il grave riassorbimento radicolare), cui non erano seguite le necessarie modifiche del modus operandi, con ulteriore aggravamento dello stato di salute;
11) che, però, nonostante l’accertato inadempimento sanitario, con la sentenza n. 13761/2014 del 26.06.2014, il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta da esso attore per difetto di legittimazione passiva, condannandolo anche alla rifusione delle spese di lite (sentenza confermata anche in grado di appello ed oramai definitiva);
12) che, sulla base della CTP svolta dal dott. P.F., erano emerse diverse censure nell’operato dei sanitari i quali avevano proceduto alle cure, senza una corretta pianificazione dei tempi ortodontici in funzione di quelli chirurgici, senza eseguire i necessari esami cefalometrici e senza rilevare tempestivamente la complicanza del grave riassorbimento radicolare (verificatasi nel corso delle cure), con conseguente peggioramento della condizione preesistente, per la mobilità patologica e trauma occlusale, con conseguente danno complessivo pari ad € 153.582,77, di cui: € 15.000,00 a titolo di danno biologico permanente pari al 9% del totale; € 3.500,00, a titolo di danno biologico temporaneo; € 30.000,00 per spese mediche future, € 5.000,00 per cure paradontali; € 80.000,00 per interventi di chirurgia implantare per la sostituzione degli elementi dentali 1.1-1.2- 2.1-2.2 ormai compromessi; € 10.000,00 a titolo di danno morale, parti al 60% del valore punto per il 9% di invalidità permanente, oltre spese sanitarie sostenute pari ad € 7.082,77.
* * *
Venendo ad esaminare la vicenda sanitaria de qua, deve rilevarsi, in via preliminare, l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla A.E. LTD, in quanto si tratta di fatti avvenuti in data antecedente all’entrata in vigore della Legge Gelli-Bianco e, dunque, all’epoca del trattamento sanitario, il rapporto tra paziente e medico non era da qualificarsi di natura extracontrattuale (con conseguente prescrizione quinquennale), bensì di natura contrattuale, stante il contatto sociale qualificato, intercorso fra paziente e sanitario (con conseguente prescrizione decennale); in particolare, è’ principio costante della Suprema Corte di Cassazione quello secondo cui le norme sostanziali di cui alla legge L. n. 24 del 2017 non hanno portata retroattiva, e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore (cfr. Cass. civ. 28994/2019).
Nel merito, occorre premettere che, a fronte della dedotta responsabilità contrattuale, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando invece a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr., per tutte, Cass. Civ., sez. III, nr. 5128/2020, Cass. civ. sez. III, nr. 18392/2017; nr. 21177/2015).
Nel caso di specie, risulta innanzitutto incontestato fra le Parti (e, comunque, pienamente dimostrato dalla documentazione sanitaria in atti) che, in conseguenza del trattamento sanitario eseguito (in sinergia) dai due medici convenuti, si sia determinato un peggioramento della condizione preesistente di malocclusione dento-scheletrica di II^ classe, in quanto – dall’esame obiettivo e dagli esami radiografici svolti – è emerso che “allo stato attuale, il periziando presenta una malocclusione con rapporti molari di II classe a sinistra e di III classe a destra. Il gruppo incisivo centrale dell’arcata superiore risulta deviato a destra con linea mediana deviata verso destra e non coincidente con gli elementi dell’arcata antagonista; discromia degli elementi 43 e 22; diastemi (“spazi”) tra 15/16 -12/13 – 22/23. All’esame radiografico si rileva riassorbimento radicolare di 11, 12, 21, 22 (grave su 11 e 21); modesto riassorbimento radicolare su 42 e 31”.
Dunque, a seguito degli interventi eseguiti (in sinergia) dai due medici convenuti (di natura ortodontica e di natura chirurgica maxillofacciale), la malocclussione non solo non si è risolta, ma, anzi, è peggiorata; inoltre, si è manifestata una rilevante complicanza consistita nel riassorbimento radicolare degli elementi dentali 11, 12, 21, 42 e 31, con loro mobilità.
A fronte del verificarsi di tale complicanza, deve osservarsi che – secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Corte Cass., Sez. 3, sentenza n. 20806 del 29/09/2009; id. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 17694 del 29/07/2010; id. Sez. 3, sentenza n. 13328 del 30/06/2015; id. Sez. 3, sentenza n. 12516 del 17/06/2016; id. Sez. 3, sentenza nr. 24074/2017; id., sez. III, sentenza nr. 28985/2019; id. sez. III, sentenza nr. 122/2020; id, sez. III, ordinanza nr. 25876/2020):
– la circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come “complicanza”, statisticamente rilevata nella letteratura scientifica, non basta ad escludere la responsabilità del medico e/o della struttura ed a farne, di per se’, una “causa non imputabile” ai sensi dell’articolo 1218 c.c.; ed, infatti, il concetto medico di complicanza è, infatti, privo di rilievo sul piano giuridico; la “complicanza” non si riferisce al momento del “danno-conseguenza”, ma al momento dell’“evento-lesivo”, atteso che si tratta di una lesione del diritto alla salute, che si colloca in una fase cronologicamente e logicamente antecedente lo sviluppo della fattispecie illecita dannosa;
– spetta al professionista superare la presunzione che le “complicanze” siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico scientifiche del momento;
– il medico andrà esente da responsabilità solo se fornisce la prova rigorosa di aver tenuto una condotta conforme alle legis artis, restando a tale fine irrilevante che l’evento indesiderato sia classificato quale complicanza e che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacché quel che rileva è se fosse prevedibile ed evitabile nel caso concreto. In altri termini, il medico ha l’onere di provare in concreto l’esatto adempimento della propria obbligazione, e non gli è sufficiente che la sussistenza d’una causa di esclusione della colpa possa essere solo astrattamente ipotizzabile;
– sul piano della prova nel giudizio di responsabilità tra paziente e medico: o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle leges artis, ed allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle “complicanze”; od, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla: ed allora non gli gioverà la circostanza che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacché quel che rileva è se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto.
Orbene, nel caso di specie, non solo i convenuti non hanno fornito la rigorosa prova liberatoria sugli stessi incombente, ma, al contrario, – sulla base della documentazione sanitaria in atti e delle conclusioni (conformi) delle due CTU espletate (una nell’ambito del precedente giudizio risarcitorio, conclusosi con il rigetto della domanda solo per il difetto di legittimazione passiva; l’altra svolta, nell’ambito del presente giudizio, dalla dott.ssa RO.FR., specialista in odontoiatria, e dal dott. N.SI., specialista in medicina legale) – emerge chiaramente la prova dell’inadempimento posto in essere dai due sanitari.
Al riguardo, occorre infatti osservare che, così come sottolineato dalla CTU, il trattamento ortodontico-chirurgico prevede la stretta collaborazione dell’ortodontista e del chirurgo maxillo- facciale, i quali sulla base di uno studio iniziale, formulano un piano di terapia comune finalizzato al raggiungimento del risultato; che, nel caso concreto, l’attore K., affetto da malocclusione di IIª classe dento-scheletrica, si rivolgeva primariamente all’ortodontista dott. B.A., il quale, all’esito di diverse visite, lo indirizzava, per il proseguimento in sede chirurgica del trattamento terapeutico , al dott. S.S., chirurgo maxillofacciale, operante presso la convenuta “(omissis) S.p.A.; che, infatti, presupposto dell’intervento chirurgico maxillofacciale (consistente nello spostamento dei mascellari) è rappresentato dall’allineamento delle arcate, con elementi dentari in corretta posizione dal punto di vista scheletrico; la mancata e/od l’errata esecuzione del trattamento ortodontico, quindi, prelude la possibilità di far combaciare le arcate, e conseguentemente di ottenere una I^ classe sia scheletrica sia dentale (cfr., pag. 40 e 41 della CTU).
Orbene, una prima censura nell’operato dei sanitari deve essere ravvisata nella mancanza di un’accurata e precisa diagnosi iniziale del caso clinico, con fotografie, modelli di studio, analisi cefalometrica e specifica programmazione sia del trattamento ortodontico pre-chirurgia ortognatica, sia di quello di mantenimento post-chirurgica ortognatica; inoltre, risulta mancante anche la cartella clinica dell’ortodontista, indispensabile per poter seguire un preciso iter terapeutico, consistente in visite di controllo ed esami eventualmente necessari.
La mancanza di una precisa ed accurata diagnosi inziale e la mancata predisposizione di programma del trattamento ortodontico (pre e post intervento), con i necessari adattamenti in base all’evoluzione della situazione, non consente, quindi, di verificare se, nel caso di specie, vi sia stata un’adeguata gestione delle forze ortodontiche della tecnica adottata e se, quindi, prima degli interventi chirurgici maxillofacciali, fosse stata realizzata un’adeguata stabilità occlusionale.
Una seconda censura riguarda, poi, l’insorgenza della complicanza del riassorbimento radicolare.
Nello specifico, emerge, infatti, che, all’esito dell’esame Rx full endorale del 10.2.2010, il dott. B.A. comunicava al dott. Stefano S.S. la presenza di processi di rizalisi degli incisivi superiori 12 – 11 – 21 – 22, ed invitava pertanto il chirurgo a non sollecitare gli elementi 21 e 22, tenendo conto che dopo l’intervento maxillo-facciale i denti in questione non avrebbero subito ulteriori spostamenti ortodontici; tuttavia, il processo di rizalisi degli incisivi superiori risultava già evidente fin dall’esame Rx Opt dell’11.06.2009, con successivo aggravamento desumibile anche dalla Rx del 07.12.2009, mentre invece il dott. B.A. comunicava tale complicanza al medico chirurgo solo il successivo 10.02.2010.
Dunque, come rilevato dai CCTTUU, l’insorgenza della complicanza in questione avrebbe dovuto “indurre il sanitario ad apportare le dovute modifiche al trattamento evitando così l’ulteriore evoluzione sfavorevole, come poi evidenziata dalle successive indagini strumentali”.
In definitiva, nel caso in esame, – non solo i convenuti non hanno fornito la prova liberatoria sugli stessi incombente – ma, come chiarito dai CTU, “il trattamento ortodontico non appare essere stato eseguito correttamente, sia per la mancata risoluzione della malocclusione preesistente, sia per quanto attiene alla impropria gestione delle forze ortodontiche della tecnica adottata, nonché per quanto concerne l’insorgenza di complicanze (riassorbimento radicolare/rizalisi a carico degli elementi 11,12,21,22) non tempestivamente diagnosticate e che non hanno condotto alle necessarie modifiche del modus operandi, con ulteriore aggravamento delle stesse”.
A fronte di tali censure, la responsabilità sanitaria deve essere attribuita, in primo luogo, al convenuto B.A. il quale si occupava direttamente della predisposizione e gestione del trattamento ortodontico, presupposto necessario per l’intervento chirurgico maxillo-facciale.
In secondo luogo, pur non ravvisandosi errori tecnici nell’esecuzione degli interventi chirurgici maxillo-facciali, deve ritenersi corresponsabile anche il dott. S.S. per due differenti ordini di ragione; da un lato, per avere sottoposto l’attore all’inutile secondo intervento chirurgico del 24.02.2010 (osteotomia di avanzamento della mandibola e genioplastica), a fronte di una persistente instabilità occlusale e dei processi di riassorbimento radicolare in atto; dall’altro lato, per non aver emendato gli errori posti in essere dall’ortodontista dott. B.A.; ed, infatti, come sopra ribadito, atteso che il trattamento ortodontico-chirurgico presuppone un “lavoro di squadra” da parte dei due specialisti, deve farsi applicazione, nel caso in esame, del “principio del controllo reciproco” – principio cardine espresso dalla Corte di Cassazione e più volte dalla stessa richiamato – secondo cui “in tema di responsabilità medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio” (Cass. n. 2060/2018; n. 53316/2016).
Non emerge poi la prova di un asserito concorso colposo dell’attore eziologicamente rilevante in relazione ai postumi dallo stesso subiti.
Infine, in mancanza di elementi di prova contrari, volti a superare il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., la responsabilità per gli esiti peggiorativi subiti dall’attore K. deve essere attribuita, in pari misura, in ragione del 50% ciascuno, ai due sanitari interventi nel complesso trattamento sanitaria praticato; con riferimento alla quota di corresponsabilità del 50% attribuibile al dott. S.S., risulta infine configurabile anche una responsabilità concorrente della Struttura convenuta (omissis) HOSPITAL S.p.A. “destinata a scaturire “ex se” da un’attività che impone – dovendo conformarsi a criteri di organizzazione e gestione certamente distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico – l’adozione di uno stringente “standard” operativo, vada a modellarsi secondo criteri di natura oggettiva, a differenza di quanto invece predicabile con riferimento all’attività del singolo sanitario”; in particolare, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3 , c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all’utilizzazione di terzi per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione” (cfr. Cass. Civ., sez. III, nr. 28987/2019, facente parte del c.d. decalogo di San Martino, con cui si è cercato di individuare, da un punto di vista nomofilattico, alcuni punti fermi nell’interpretazione della responsabilità sanitaria).
In definitiva, nel caso di specie, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva dei medici, nei rapporti interni, deve essere ripartita, secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in ragione del 50% a carico del dott. B.A. e del 25% a carico del dott. S.S. e del restante 25% a carico della Struttura sanitaria convenuta, non apparendo certamente configurabile un’eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell’obbligazione.
* * *
Accertata la responsabilità professionale dei convenuti B.A., S.S. e “(omissis)” S.p.A., occorre esaminare il quantum della domanda risarcitoria avanzata dall’attore il quale lamenta, da un lato, l’esistenza di danni patrimoniali, corrispondenti alle spese sostenute per i dannosi interventi sanitari nonché alle spese mediche future, necessarie per attenuare i postumi riscontrati; dall’altro lato, danni non patrimoniali (biologico e morale), conseguenti all’errato trattamento subito.
Quanto al danno patrimoniale, deve, innanzitutto, escludersi la restituzione di quanto versato da K.Z. a titolo di compensi professionali, non avendo l’attore avanzato, nel presente giudizio, anche apposita domanda di risoluzione del contratto di prestazione professionale sanitaria.
Ed infatti, secondo l’orientamento costante della Corte di Cassazione, “nel contratto d’opera intellettuale, qualora il committente non abbia chiesto la risoluzione per inadempimento, ma solo il risarcimento dei danni, il professionista mantiene il diritto al corrispettivo della prestazione eseguita, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela” (Cass., 10/07/2018, n.18086; Cass., n. 6886 del 24/03/2014; n. 29218 del 06/12/2017; n. 6926 del 08/05/2012; n. 6009 del 17/04/2012; n. 23820 del 24/11/2010; n. 23273 del 27/10/2006; n. 11103 del 11/06/2004; n. 5496 del 17/04/2002; n. 644 del 23/01/1999).
Con riferimento alle spese future per le cure mediche, occorre premettere che, in applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., il giudicante può liquidare, anche in via equitativa, a titolo di danno emergente, le spese future che siano ragionevolmente certe nell’an e tuttavia incerte nel quantum;
che però le spese future possono essere risarcite, a condizione che siano specifiche e verosimili e siano direttamente ricollegabili all’inadempimento professionale, ovverosia siano funzionali a risolvere la situazione peggiorativa determinata dalla condotta tenuta dal sanitario.
Orbene, nel caso in esame, le spese future, quantificate nella CTU in complessivi € 28.700,00, risultano verosimili e sono volte ad eliminare proprio gli esiti peggiorativi causati dall’inadempimento professionale dei due convenuti e, cioè, da un lato, a far fronte all’aggravamento della malocclusione; dall’altro lato, a risolvere la complicanza del grave riassorbimento radicolare degli elementi dentali, con attuale mobilità dentale che impedisce ogni ulteriore trattamento correttivo.
Nello specifico, tali costi futuri risultano così individuati nella relazione tecnica d’ufficio:
– trattamento ortodontico euro 4.000,00;
– estrazione degli elementi dentari 11, 21, 22 (colpiti dal grave riassorbimento radicolare) euro 300,00;
– protesi rimovibile parziale superiore di 3/4 elementi in nylon euro 750,00;
– rigenerazione ossea (aumento spessore osseo) euro 2.000,00;
– chirurgia muco-gengivale arcata sup. euro 1.500,00;
– n.3 impianti osteointegrati zona 11, 21, 22 euro 3.300,00;
– abutment protesico su impianti euro 1.200,00;
– dima chirurgia implantare euro 300,00;
– n.3 provvisori su impianti euro 450,00;
– n.3 corone protesiche definitive su impianti euro 2.700,00;
– n.1 provvisorio su 12 euro 150,00;
– terapia endodontica del 12 euro 200,00;
– ricostruzione post endodontica su 12 euro 150,00;
– n.1 corona protesica su 12 euro 900,00.
Considerata, altresì, l’età di 29 anni del paziente all’epoca dei fatti, sono stati considerati almeno nr. 3 rinnovi protesici su impianti e sull’elemento 12 per un costo totale di euro 10.800,00.
Tali spese future non risultano seriamente confutate dai convenuti e sono rapportate alle tariffe medie praticate secondo i tariffari di riferimento dell’Ordine dei Medici di Roma del 2017 ed il Nomenclatore/Tariffario ANDI del 2008.
Contrariamente a quanto prospettato dall’attore, possono essere riconosciute solo le spese necessarie per emendare il peggioramento della malocclusione, ma non quella necessarie per risolvere tale problematica e poter arrivare ad una malocclusione di prima classe, in quanto si tratta di condizione preesistente, indipendente dai trattamenti sanitari eseguiti.
Quanto al danno non patrimoniale, occorre premettere che il giudicante è tenuto a considerare tutte le conseguenze patite dal danneggiato, tanto nella sua sfera morale, ossia nel rapporto che il soggetto ha con sé stesso, quanto in quella dinamico-relazionale, che riguarda il rapporto del soggetto con la realtà esterna. Il suddetto accertamento, unitario ed omnicomprensivo, deve avvenire in concreto (non in astratto), ricorrendo a tutti i mezzi di prova, compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni; pertanto, – contrariamente a quanto sostenuto dall’attore – costituisce “duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali — e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute” (cfr., per tutte, Cass. Civ., sez. III; ordinanza nr. 9196/2018).
Nel caso in esame, la misura del risarcimento del danno biologico (quantificato nella misura
del 6%, per il peggioramento della malocclusione ed il riassorbimento radicolare) – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’attrice – deve essere parametrato alla disposizione del D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 3, conv. con mod. in L. n. 189 del 2012.
Ai fini della valutazione e liquidazione del danno non patrimoniale lamentato dall’attore, si deve prendere atto delle conclusioni dei CTU il quali, sulla scorta di valutazioni e ponderazioni non solo condivisibili, ma anche rimaste prive di seria confutazione, hanno indicato una invalidità temporanea totale di giorni nr. 30; una invalidità temporanea parziale (al 25%) pari a gg. nr. 180 nonché un danno biologico permanente valutabile nel 6% del totale; tale danno biologico, – a fronte dei trattamenti futuri emendativi sopra indicati – potrà ridursi alla misura del 3%;
Quindi, non essendo possibile liquidare, in favore dell’attore, un danno biologico del 6% e riconoscergli, contemporaneamente, anche i costi per gli interventi (parzialmente) emendativi di tale danno, al fine di evitare un’illegittima duplicazione del danno., deve essere riconosciuto, in favore dell’attore, unicamente un danno biologico del 3%; in particolare, deve ritenersi ragionevolmente certo che l’attore, tenuto conto anche della giovane età, si sottoporrà agli interventi emendativi e, quindi, appare corretto riconoscergli i costi di tali interventi, piuttosto che l’attuale danno complessivo del 6%.
Non può, invece, essere riconosciuto alcun danno biologico di natura psicologica, in mancanza di qualsivoglia documentazione sanitaria comprovante tale danno ed in base alla quale poter ricollegarlo eziologicamente al trattamento sanitario oggetto di causa.
Per la valutazione del danno biologico indicato dal CTU, dovendosi ricorrere (come sopra osservato) alle Tabelle ministeriali (aggiornate ad aprile 2022, con D.M. 8/06/2022), si arriva alla seguente liquidazione del danno:
– IP = 3%, età al momento del fatto (29 anni), pari ad € 2.837,62 (punto base danno biologico pari ad € 870,97);
– ITA= gg. nr. 10, pari € 507,90;
– ITP (al 5%) = gg. 365, pari ad € 926,92;
per un totale complessivo, a titolo di danno biologico permanente e temporaneo, di € 4.272,44.
Oltre al danno biologico (temporaneo e permanente), si deve considerare che, secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, “all’interno del micro-sistema delle micro- permanenti, resta ferma (…) la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2015, n. 11851, Rv. 635701-01), essendosi ulteriormente precisato, da parte di questa Corte (quantunque con riferimento a lesioni che superano la soglia della micro-permanenza), che “in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”, di talché, ove “sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv.648303-01).
Siffatta “separata valutazione e liquidazione”, nel caso del (sottosistema) delineato dall’art. 139, comma 3, cod. assicurazioni è affidato ad un aumento fino al 20% – disposto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato – di quanto liquidato a titolo di danno biologico (cfr. Cass. Civ., sez. III, sentenza nr. 10816/2019).
Nel caso in esame, – considerata la natura dei postumi subiti (il grave riassorbimento radicolare degli elementi 11, 21, 22, con l’interessamento del 12, (che potrebbe andare incontro ad estrazione in caso di insuccesso delle cure conservative/endodontiche) tenuto, altresì, conto della frustrazione provata dall’attore per essersi sottoposto a numerose visite ed a nr. 2 interventi chirurgici rivelatisi del tutto inutile – appare adeguato riconoscere la massima personalizzazione del danno morale (inteso come sofferenza interiore, pretium doloris) e, quindi, procedere all’aumento massimo del 20%, previsto dall’art. 139, comma 3, C.d.A, corrispondente all’importo di € 854,48 (20% dell’importo complessivo liquidato a titolo di danno biologico permanente), per un totale complessivo fra danno biologico (temporaneo e permanente) e morale di € 5.126,92.
Infine, avendo l’attore già ottenuto, nell’aprile 2011, dalla Z. PLC il pagamento della somma di € 19.129,00, ampiamente satisfattiva del danno non patrimoniale, non occorre procedere anche al computo degli interessi e della rivalutazione monetaria per il ritardato pagamento, in quanto il residuo danno (di natura patrimoniale) riguarda esclusivamente spese future.
In definitiva, sulla base delle ragioni fin qui espresse, accertata la concorrente responsabilità contrattuale, i convenuti B.A. e S.S. e (omissis) S.p.A., devono essere condannati, in solido fra loro (e, nei rapport interni, in ragione del 50% il primo e del 25% ciascuno gli altri due) al pagamento, in favore dell’attore K.Z., dei seguenti importi:
a) € 28.700,00, a titolo di danno patrimoniale (per spese future), con interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;
b) € 5.126,92, a titolo di danno non patrimoniale (biologico e morale), con interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo, per un totale di € 33.826,92, da cui detrarre l’importo già ricevuto di € 19.129,00 (versato dalla Z. PLC nell’aprile 2011), con un saldo residuo di € 14.697,92.
Da ultimo, rimane da verificare l’operatività delle polizze per la responsabilità civile azionate dai convenuti, dott. B.A. e dott. S.S.
Il dott. B.A. ha azionato, nel presente giudizio, la polizza Zurich n. (omissis) che, agendo in continuità con polizze annuali precedentemente stipulate, risulta coprire il sinistro in questione, tanto che – già nell’aprile 2011 – la Compagnia ha offerto all’attore la somma di € 19.129.00, dallo stesso accettata in acconto del maggior danno preteso.
Non avendo poi la Compagnia dimostrato (così come, invece, sarebbe stato suo preciso onere probatorio) l’esistenza di altre coperture assicurative a primo rischio ed in mancanza di ulteriori eccezioni in ordine all’operatività della polizza in questione, deve dichiararsi la convenuta Z. PLC tenuta a manlevare e tenere indenne il dott. B.A. delle somme che lo stesso dovrà corrispondere, in forza della presente sentenza, in favore dell’attore K.Z., con la franchigia di € 2.500,00 e tenuto conto dell’anticipo già versato di € 19.129,00; in particolare, la copertura assicurativa in questione, in base alle condizioni di polizza, deve intendersi limitata alla sola quota di responsabilità diretta del dott. B.A., come sopra individuata nella misura del 50% (ed, infatti, le condizioni generali di polizza stabiliscono espressamente che “Nel caso in cui l’Assicurato sia tenuto al risarcimento ed al conseguente pagamento in solido – ex articoli 1292 o 2055 del Codice Civile – la Compagnia, anche se l’Assicurato è tenuto per l’intero, in ragione del vincolo di solidarietà, terrà indenne l’Assicurato soltanto per la sua quota di responsabilità colposa specifica, diretta, propria e personale).
Il dott. S.S. ha invece azionato due diverse polizze e, precisamente:
– la polizza n. (omissis), contratta con la N. S.p.A., oggi U. S.p.A. (cfr. doc nr. 4);
– la polizza n. (omissis), contratta con la A. LTD (cfr. doc.05).
La prima polizza, avente decorrenza dal 31.12.2007 al 31.12.2008, strutturata secondo il modello claims made, non può ritenersi operante, a fronte della prima richiesta di risarcimento avvenuta solo con la citazione del 2017, stante anche l’impossibilità di sostituire una polizza strutturata secondo il modello claims made con una operante secondo il modello c.d. loss occurence.
La seconda polizza n. (omissis), contratta con la A. LTD (cfr. doc.05), avente decorrenza dal 27.11.2016- 27.11.2017, risulta anch’essa operante secondo il modello c.d. claims made e, quindi, la copertura assicurativa – come riportato nella nota informativa (art. 9) e nelle CGA (art. 1), opera per le “richieste pervenute all’Assicurato nel corso di durata del contratto anche se conseguenti a fatti antecedenti al periodo di decorrenza delle condizioni contrattuali, purché avvenuti non prima della Data di Retroattività stabilita in Polizza ”. L’assoluta particolarità del caso in esame è che il periodo di retroattività stabilito in polizza risulta pari ad “Anni 0”, ragione per cui – pur a fronte di una richiesta pervenuta all’Assicurato con la notifica dell’atto di citazione (avvenuta in data 30.09.2017) e, quindi, nel periodo di vigenza della polizza, non si avrebbe copertura, risalendo i fatti al 2008/2010.
Dunque, nel caso in esame, occorre esaminare la validità di tale polizza assicurativa, tenuto conto delle pronunce delle S.U. della Corte di Cassazione del 2016 e del 2018 e delle ulteriori sentenze di legittimità (cfr. Cass. Civ., sez. III, sentenza nr. 8117/2020 e Cass. Civ., sez. III, ordinanza nr. 5259/2021) che hanno evidenziato nr. 4 importanti punti in tema clausole “claims made” e, precisamente:
1) lo schema assicurativo c.d. “loss occurrence” è certamente derogabile dalle parti, le quali sono libere di prevedere l’operatività della polizza secondo il meccanismo “claims made”, mediante l’inserimento non solo di clausole c.d. “pure”, ma anche “miste”;
2) tali clausole non possono considerarsi vessatorie agli effetti dell’art. 1341, c.c., in quanto delimitano l’oggetto del contratto assicurativo e non già la responsabilità dell’assicuratore;
3) il modello “claims made”, legislativamente previsto in materia di assicurazione professionale obbligatoria, risulta ormai “tipizzato”; di conseguenza, non si impone un test di “meritevolezza” degli interessi perseguiti dalle parti, ma di rispetto dei “limiti imposti dalla legge”;
4) le valutazioni relative al rispetto di tali limiti implicano questioni di fatto e, pertanto, non sono sindacabili in sede di legittimità. In altri termini, ai fini della validità o meno della clausola “claims made”, occorre indagare “la rispondenza della conformazione del tipo … ai limiti imposti dalla legge”, attraverso una verifica casistica della causa in concreto, in termini di liceità ed adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti.
Nel caso in esame, il concreto regolamento contrattuale voluto dalle parti, senza alcuna retrodatazione della copertura assicurativa, non risulta certamente conforme al modello legislativo previsto dall’art. 10 della L. 24/2017, mentre deve ravvisarsi una chiara asimmetria nella posizione delle Parti, emergendo profili d’inadeguatezza rispetto agli interessi coinvolti.
In particolare, richiedere, ai fini della copertura assicurativa, sia che l’evento-dannoso si verifichi entro l’anno di validità temporale della polizza sia che, entro tale medesimo periodo, pervenga anche la richiesta di risarcimento all’Assicurato, rende sostanzialmente inutile la copertura assicurativa, trattandosi di una coincidenza del tutto ipotetica ed eccezionale.
Ne consegue che, nel caso in esame, deve ritenersi nulla la clausola assicurativa che prevede una retroattività pari a zero e deve essere sostituita con il modello legale che prevede una retroattività decennale, con conseguente piena copertura dei fatti oggetto di causa.
Non avendo poi la Compagnia dimostrato (così come, invece, sarebbe stato suo preciso onere probatorio) l’esistenza di altre coperture assicurative a primo rischio ed in mancanza di ulteriori eccezioni in ordine all’operatività della polizza in questione, deve dichiararsi la convenuta A.E. LTD tenuta a manlevare e tenere indenne il dott. S.S. delle somme che lo stesso dovrà corrispondere, in forza della presente sentenza, in favore dell’attore K.Z.,; in particolare, la copertura assicurativa in questione, in base alle condizioni di polizza (art. 2.2 ed 8), deve intendersi limitata alla sola quota di responsabilità diretta del dott. S.S., come sopra individuata nella misura del 50%.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore del decisum e non disputatum (cfr. art. 5, comma 2, D.M. 55/2014 e cfr. Cass. civ. sent. n. 22462/2019), con applicazione dei criteri medi di cui al D.M. 55/2014, disponendosi il pagamento in favore dell’Erario ex art. 133 T.U. Spese di Giustizia, trattandosi di Parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Inoltre, le Compagnie di Assicurazione devono essere condannate a tenere indenne l’assicurato anche delle spese di soccombenza, in quanto “in materia di assicurazione della responsabilità civile, l’assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato (c.d. spese di soccombenza) entro i limiti del massimale, in quanto costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito” (cfr., per tutte, Cass. civ., sez. 6-3, ordinanza nr. 18076/2020).
Ed ancora, – in base al principio di soccombenza di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. e della contestazione relativa all’operatività del rapporto assicurativo – le Compagnie di Assicurazione devono essere condannate anche alla rifusione, in favore dell’assicurato, delle spese processuali da quest’ultimo sopportate per la chiamata in causa (cfr. Cass. sopra citata).
Le spese della CTU, liquidate come in atti, stante la soccombenza, vengono definitivamente poste a carico delle nr. 3 Parti convenute, in solido fra loro (e, nei rapporti interni, in ragione dell’accertata quota di responsabilità).
P.Q.M.
Il Tribunale, – definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da K.Z. nei confronti dei convenuti B.A., S.S. e (omissis) S.p.A., nonché con la chiamata in garanzia della A.E. LTD, della Z. Public Limited Company e della U. S.p.A. – disattesa ogni contraria deduzione ed eccezione – così decide:
1) accerta e dichiara la concorrente responsabilità professionale dei convenuti B.A., S.S. e (omissis) S.p.A. per l’errato trattamento sanitario eseguito nei confronti dell’attore K.Z.;
2) condanna, per l’effetto, i convenuti B.A., S.S. e (omissis) S.p.A. al pagamento, in solido fra loro (e, nei rapporti interni, in ragione del 50% il primo; ed il 25% gli altri due), in favore dell’attore K.Z., a titolo di risarcimento del danno patrimoniale (per spese future) e del danno non patrimoniale, della residua somma di € 14.697,92, (già detratto l’acconto di € 19.129,00, ricevuto nell’aprile 2011, da parte della Z. PLC);
3) rigetta, per il resto, la domanda risarcitoria proposta dall’attore K.Z.;
4) condanna, altresì, i convenuti B.A., S.S. e (omissis) S.p.A. alla rifusione, in solido fra loro (e, nei rapporti interni, in ragione del 50% il primo; ed il 25% gli altri due), in favore dell’attore K.Z., delle spese di causa che si liquidano in complessivi € 5.077,00, oltre spese generali (15%), IVA e CPA e rimborso del contributo unificato, disponendone il pagamento in favore dell’Erario, ai sensi dell’art. 133 T.U. Spese di Giustizia;
5) dichiara e condanna la terza chiamata in causa “Z. PLC” a tenere indenne il convenuto B.A., nei limiti dell’accertata quota di corresponsabilità del 50%, di tutte le somme che quest’ultimo dovrà corrispondere, in favore dell’attore K.Z., in forza della presente sentenza, ivi comprese le spese di lite, tenuto conto però della franchigia di € 2.500,00 e dell’acconto di € 19.129,00 già corrisposto nell’aprile 2011;
6) accertata la nullità della clausola di polizza che prevede la retroattività pari a zero, dichiara e condanna la terza chiamata in causa “A.E. LTD” a tenere indenne il convenuto S.S., nei limiti dell’accertata quota di corresponsabilità del 25%, di tutte le somme che quest’ultimo dovrà corrispondere, in favore dell’attore K.Z., in forza della presente sentenza, ivi comprese le spese di lite;
7) condanna la “Z. PLC” alla rifusione, in favore dell’assicurato chiamante B.A., delle spese del giudizio che si liquidano in complessivi € 5.077,00, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per legge nonché al rimborso del contributo unificato;
8) condanna la “A.E. LTD” alla rifusione, in favore dell’assicurato chiamante S.S., delle spese del giudizio che si liquidano in complessivi € 5.077,00, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per legge nonché al rimborso del contributo unificato;
9) pone le spese della CTU, liquidate come in atti, definitivamente a carico delle nr. 3 Parti convenute, in solido fra loro (e, nei rapporti interni, in ragione dell’accertata quota di corresponsabilità).
La presente sentenza è stata redatta in collaborazione con l’addetta all’UPP, dott.ssa G.S.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni e gli adempimenti di legge.
Roma 29.12.2022