Aumentare i costi della giustizia per ridurre i tempi dei processi?

La giustizia rimane uno dei nodi più complessi del nostro Paese. Nonostante qualche miglioramento in termini d’efficienza ci sia stato (da ricordare la “scalata” nel ranking di Doing Business 2014 nella sezione “enforcing contracts” dalla 140^ alla 103^ posizione), l’Italia rimane ancora uno dei paesi più in difficoltà nella definizione dei processi. Anche nel 2013 i procedimenti pendenti in ambito civile hanno superato abbondantemente i 5 milioni.

Per correre ai ripari l’ex Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri aveva individuato alcune soluzioni che mirano a smaltire più rapidamente i processi. Tuttavia non senza polemiche. E’ infatti allo studio un progetto di legge che prevede che il cittadino in attesa di giudizio potrà ottenere la sola parte di sentenza in cui è contenuta la decisione del giudice, senza le motivazioni. Qualora fosse intenzionato a conoscerle, dovrà anticipare una parte delle spese dell’appello (il contributo unificato per il secondo grado) che vanno da 37 a 450 euro. Un’idea, quella di rendere più caro il ricorso al sistema giurisdizionale, già applicato per i gradi di giudizio inferiore, ad esempio per il ricorso al Giudice di Pace per le sanzioni del Codice della Strada.

Come se non bastasse, la norma potrebbe colpire anche gli avvocati, scoraggiandoli nel loro compito di difensori del cittadino. Per essi infatti è previsto che, in caso di sconfitta nella causa, possa spettare la condanna in solido col cliente per “lite temeraria”.

La norma è chiaramente studiata per disincentivare le parti al ricorso ai successivi gradi di giudizio, in effetti spesso abusato, e ridurre di conseguenza il carico di provvedimenti ancora senza un esito. Tuttavia, secondo molti queste misure comprimono in modo illegittimo il diritto di difesa. “La giustizia è un diritto inviolabile e insopprimibile del consumatore e non si può subordinare alle sue capacità economiche” ribadisce l’Adiconsum, in un intervento sul Corriere della Sera. Una norma considerata incostituzionale dall’Ordine degli Avvocati di Roma e Napoli, che comprime soltanto il diritto alla difesa.