Quale la ratio del diritto all’anonimato della madre

Il diritto all’anonimato della madre deriva dall’esigenza di tutelare la gestante che versi in situazioni particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico o sociale ed abbia deciso di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire in una struttura sanitaria appropriata ed in condizioni ottimali e di mantenere al contempo l’anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita. È previsto espressamente dal nostro ordinamento: attualmente il D.P.R n. 396/2000  all’art. 30, comma primo, dispone che la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata .

Con atto di citazione ritualmente notificato Gr. Fr. ha citato innanzi all’intestato Tribunale i signori Fr. Al. e Fr. Gi., in qualità di eredi di Gr. Ad., nata a Roma il –omissis– ed ivi deceduta il –omissis–, per sentir dichiarare che la defunta Gr. Ad. era la madre dell’attore, con ogni conseguente annotazione sull’atto di nascita del medesimo, originariamente registrato con il nome di Fr. Bu..
A sostegno della domanda ha dedotto di essere nato a Roma presso la clinica Sant’Anna il –omissis–, registrato quale figlio di donna che non consente di essere nominata, ed appellato con nome e cognome di Fr. Bu.; di essere stato affidato in via provvisoria dapprima ad una famiglia e poi in via definitiva ai nonni materni Gr. Fr. (nato a S.M. Capua Vetere il –omissis–) e D’An. Ne. Ma. (nata a Verona il –omissis–), con attribuzione del cognome Gr. in luogo di quello assegnatogli alla nascita; di essere vissuto, sin dal 1966, con i nonni e con la propria madre, considerata una sorella maggiore, che lo aveva sempre accudito insieme ai propri genitori e che nel 1964 aveva contratto matrimonio con Fr. Al., dando alla luce un altro figlio, Fr. Gi.; che l’esame genetico a cui spontaneamente le parti si erano sottoposte riconosceva il legame genetico tra i fratelli, figli della stessa madre.
I convenuti, rispettivamente marito e figlio di Gr. Ad., premesso di essere venuti a conoscenza che Gr. Ad. fosse la madre biologica dell’attore solo successivamente alla morte della stessa, ritenendo fino ad allora che l’attore fosse figlio dei coniugi Gr. Fr. e D’An. Ne. Ma., come era stato loro raccontato, non hanno contestato la domanda.
Istruita con produzioni documentali, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione all’udienza del 10.5.2017, previa rinuncia delle parti ai termini di cui all’art. 190 c.p.c.
L’azione promossa nel presente giudizio ai sensi dell’art. 269 c.c. (dichiarazione giudiziale di maternità) non è finalizzata alla conoscenza delle proprie origini e della storia della propria nascita, perché l’attore si è dichiarato, pur soggettivamente, certo dell’identità della propria madre, quanto piuttosto ad ottenere il riconoscimento dello status di figlio nei confronti della presunta madre, ormai defunta, che al momento del parto aveva chiesto di non essere nominata.
Occorre premettere brevemente che il diritto all’anonimato della madre è previsto espressamente dal nostro ordinamento; infatti, l’ordinamento dello stato civile vigente al momento della nascita dell’attore (R.D. n. 1238/1939, art. 73) prevedeva che il riconoscimento, per l’ipotesi di figlio nato da unione illegittima, dovesse essere fatto soltanto per il genitore o per i genitori che rendessero personalmente la dichiarazione, o che avessero fatto constatare per atto pubblico il proprio consenso ad essere nominati. La disposizione è rimasta sostanzialmente immutata nel testo dell’ordinamento dello stato civile dapprima modificato dalla legge n. 127/1997, quindi confluito nel D.P.R n. 396/2000 che all’art. 30, comma primo, dispone che ?la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata?.
Il fondamento costituzionale di tali disposizioni, come chiarito dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 425/2005), riposa sull’esigenza di tutelare la gestante che versi in situazioni particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico o sociale ed abbia deciso di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire in una struttura sanitaria appropriata ed in condizioni ottimali e di mantenere al contempo l’anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita.
La natura e la portata del diritto all’anonimato della madre sono state oggetto di diversi interventi della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (caso Godelli c. Italia del 22.9.2012) e della Corte Costituzionale (sentenza n. 278 del 2013) che, sebbene relativi all’esame delle ipotesi di accesso alle informazioni che riguardino l’origine e l’identità dei genitori biologici di soggetti adottati (art. 28 della legge n. 184/1983), diverse quindi dal caso di specie, hanno espresso un principio di portata generale censurando l’irreversibilità del segreto circa l’identità della madre, prevedendo la necessità di indagare la persistenza della volontà della donna di non volere essere nominata.
Rimane, tuttavia, fermo il principio in base al quale deve essere rispettata la volontà della madre di rimanere anonima, qualora non vi sia espressione di una diversa determinazione da parte della stessa.
Nel caso in esame, l’adesione alla domanda da parte dei convenuti, quali eredi della presunta madre biologica che aveva chiesto l’anonimato, fa venir meno le ragioni di tutela della scelta a suo tempo compiuta dalla donna, per cui deve darsi atto che ad oggi non sussistono interessi contrapposti delle parti, che chiedono congiuntamente il medesimo accertamento.
Del resto, di recente, anche la Suprema Corte, nel caso di cd. parto anonimo, ha riconosciuto il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, ?non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni, dalla formazione del documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, previsto dall’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 196 del 2003, che determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto (Corte Cost. n. 278 del 2013) e l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilità di tale scelta? (cfr. Cass. n.15024/2016; n.22838/2016).
Venendo quindi al merito della questione, deve essere precisato che l’attore, pur avendo avuto un rapporto filiale con i signori Gr. Fr. e D’An. Ne. Ma. (nonni materni) ed avendo assunto il cognome del primo in forza del provvedimento di affiliazione del Giudice Tutelare nel 1966, non ha acquisito rispetto agli stessi lo stato giuridico di figlio legittimo (non trattandosi di adozione), ragion per cui l’assenza di un pregresso legame giuridico filiale rende ammissibile la presente azione, posto che l’art 253 c.c. prevede che in nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo status di figlio in cui la persona si trova.
Le prove genetiche eseguite in via stragiudiziale dall’attore e dal convenuto Fr. Gi. in data 22.3.2016 hanno provato senza margini di incertezza la consanguineità (fratello-fratello) delle parti, figli della stessa madre biologica. In difetto di elementi contrari ed in assenza di contestazione alcuna, avendo tutte le parti concordato sull’esito dell’indagine genetica espletata, deve ritenersi che tali indagini siano state eseguite con modalità tecniche adeguate e con appropriate competenze, per cui non vi è motivo alcuno per dubitare della loro affidabilità.
Il Collegio ritiene del tutto condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale ?le prove emato-genetiche sono prove in senso proprio, giacché l’attuale livello della ricerca ed esperienza scientifica consente di esprimere, grazie ad esse, sufficienti garanzie nel ritenere decisivo il loro contributo nell’attribuzione della paternità o maternità di un soggetto, conseguendo risultati dotati di un alto grado di probabilità prossimo alla certezza (cfr. App Milano 9/11/2001, cfr. anche Corte Costituzionale n 266/06 con riguardo all’art. 235 c.c).
Deve, perciò, ritenersi raggiunta la prova del rapporto di filiazione e deve essere conseguentemente dichiarato che l’attore è figlio di Gr. Ad., nata a Roma il –omissis– ed ivi deceduta il –omissis–, con ogni conseguente obbligo da parte del competente ufficiale dello stato civile.
La natura e l’esito del giudizio, in relazione alla condotta processuale delle parti, legittimano l’integrale compensazione della spese di lite.
PQM
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
– dichiara che Gr. Fr., n. a Roma in data 29/07/1958 è figlio di Gr. Ad., nata a Roma il –omissis– ed ivi deceduta il –omissis–;
– ordina all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma di provvedere all’annotazione della presente sentenza in calce all’atto di nascita del predetto;
– dichiara interamente compensate le spese di lite.
Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Roma, in data 12/05/2017
Depositata in Cancelleria il 06/06/2017