Ogni qual volta le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale vengano modificate con l’applicazione di “differenti criteri” per il risarcimento, siano essi dovuti a “individuazione di nuovi o diversi indici sintomatici assunti come rilevanti per dimensionare l’equivalente del valore perduto, ovvero di espressa previsione nella tabella di specifiche condizioni personali o situazioni di fatto, regolati precedentemente in modo diverso, o ancora in seguito alla emersione di nuovi interessi non patrimoniali inerenti alla persona meritevoli di tutela risarcitoria -, ovvero alla “rideterminazione del valore-punto base” in conseguenza di una nuova rilevazione statistica dei dati sull’ammontare dei risarcimenti liquidati dagli uffici giudiziari”, il Giudice è tenuto ad applicare tali nuove tabelle, anche se il danno si è verificato sotto la vigenza delle precedenti, e siffatta richiesta può essere avanzata anche in grado di appello.
Tanto ha stabilito la III Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25485, pubblicata ina data 13.12.2016 (qui sotto allegata).
A seguito di incidente stradale mortale, gli eredi della vittima evocavano in giudizio il proprietario del veicolo antagonista, risultato privo di copertura assicurativa, e la compagnia di assicurazione quale impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime delle Strada (FGVS), per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli stessi familiari, conviventi e non, da perdita del rapporto parentale (danno esistenziale), al danno biologico jure proprio, ed al danno patrimoniale per le spese documentate.
La domanda in primo grado veniva accolta ed il risarcimento graduato secondo le rispettive responsabilità, nella misura del 30% a carico della vittima e il restante 70% a carico del proprietario del veicolo investitore.
Sull’appello proposto dalla compagnia assicuratrice, la Corte d’Appello di Firenze, accoglieva parzialmente il gravame per l’omessa applicazione della riduzione del risarcimento nella misura corrispondente al concorso di colpa attribuito alla vittima, mentre respingeva l’appello incidentale volta all’applicazione della tabelle rielaborate dal Tribunale di Milano nell’anno 2009, in corso di causa.
Propongono ricorso per la cassazione della sentenza i danneggiati, eccependo, tra l’altro, la violazione degli artt. 1226, 2056 e 2059 Cc.
Articolato e complesso il ragionamento della Corte di Cassazione per motivare l’accoglimento del motivo di ricorso e, conseguentemente, rinviare la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, che dovrà provvedere alla riliquidazione del danno, secondo i criteri esposti nella motivazione di cui appresso.
La Suprema Corte premette che in mancanza di criteri predeterminati per legge, come nel caso di specie, la valutazione equitativa del danno, ex art. 1226 Cc, “deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari“.
A tale scopo, si è pervenuti all’applicazione del criterio di liquidazione – ricavato statisticamente su un numero considerevole di precedenti decisioni – predisposto dal Tribunale di Milano, siccome ampiamente diffuso sull’intero territorio dello Stato (Cass. 12408/2011; Cass. 20895//2015).
L’erronea applicazione del criterio di calcolo, peraltro, siccome comportante una errata applicazione delle norme di diritto previste dagli artt. 2056 e 1226 Cc, può essere eccepita anche in sede di legittimità, a condizione che la questione sia stata tempestivamente dedotta nei precedenti gradi di merito (Cass 12408/2011; Cass. 12397/2016).
Fatte queste doverose e imprescindibili premesse, occorre domandarsi se, come nel caso di specie, definito il giudizio di primo grado con l’applicazione dei criteri di liquidazione previsti nelle tabelle in uso presso Il Tribunale di Milano all’epoca del sinistro, l’intervenuta successiva variazione dei criteri di formazione delle predette tabelle, possa legittimare l’impugnazione della sentenza da parte del danneggiato, al fine di vedersi riconosciuto il maggiore importo risarcitorio stabilito dalle sopravvenute tabelle.
La risposta fornita dalla Suprema Corte, con la sentenza in commento, risulta senz’altro positiva.
Ritiene il Collegio che ad “esclusione dei soli aggiornamenti dei valori tabellari corrispondenti alle variazioni degli indici Istat del costo della vita – tutte le volte in cui la variazione tabellare corrisponda ad una modifica conseguente alla applicazione di “differenti criteri’ di liquidazione – in caso di individuazione di nuovi o diversi indici sintomatici assunti come rilevanti per dimensionare l’equivalente del valore perduto, ovvero di espressa previsione nella tabella di specifiche condizioni personali o situazioni di fatto, regolati precedentemente in modo diverso, o ancora in seguito alla emersione di nuovi interessi non patrimoniali inerenti alla persona meritevoli di tutela risarcitoria -, ovvero alla “rideterminazione del valore-punto base” in conseguenza di una nuova rilevazione statistica dei dati sull’ammontare dei risarcimenti liquidati dagli uffici giudiziari (ma tale ipotesi assume rilievo al di fuori della fattispecie in esame, laddove debbano confrontarsi “Tabelle” elaborate da Uffici diversi ed in relazioni a situazioni territoriali differenziate, mentre appare difficilmente configurabile -salvo che siano ravvisati errori nella elaborazione del punto base- nell’ambito della medesima Tabella, in quanto la funzione di standardizzazione delle liquidazioni perseguita attraverso la applicazione di criteri comuni è diretta propria ad omogeneizzare il “dato statistico”). Nei casi predetti, infatti, la liquidazione del danno effettuata sulla base di Tabelle non più attuali, si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo ex art. 1226 c.c. in quanto comporta che una identica lesione del medesimo interesse riferibile alla persona, viene ad essere, intollerabilmente, compensata in modo differente, a seconda della scelta della Tabella operata dal Giudice, con la conseguente violazione del principio di parità di trattamento cui dà luogo una diversa “valutazione-tipo” ed una diversa “tecnica liquidatoria” del medesimo fenomeno, scelta rispetto alla quale rimane del tutto avulsa la applicazione del principio “tempus regit actum” (non essendo i criteri tabellari regole giuridiche volte a disciplinare le condizioni di validità e gli effetti giuridici della fattispecie di danno sulla quale il Giudice di merito è chiamato a pronunciare, ma piuttosto un ausilio -espressivo di un dato d’esperienza- idoneo ad attribuire coerenza logica alla concreta modalità di esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno) atteso che la variazione tabellare non incide sull’accertamento (an) dell’ “eventum damni” (ossia sul diritto al risarcimento) ma soltanto su criteri logici orientativi ed esplicativi del potere discrezionale di liquidazione equitativa, venendo a costituire un superamento della valutazione-tipo e della tecnica liquidatoria precedente, e dunque immediatamente applicabile in quanto ritenuta “allo stato dell’arte” maggiormente adeguata a garantire l’effettivo ristoro del danno patito. Riguardata sotto tale aspetto la variazione tabellare può ritenersi immanente all’esercizio del potere equitativo ex art. 1226 e 2056 c.c., che rimane pertanto sindacabile, sotto il profilo della violazione di legge, per incongruità o lacune nella scelta degli indici sintomatici, delle condizioni personali, e delle particolari “circostanze del caso” assunte a base della determinazione del “quantum”, laddove il Giudice di merito si discosti -senza plausibile ragione- dai nuovi criteri tabellari limitandosi ad applicare i precedenti criteri divenuti obsoleti, venendo in tal modo a porsi in contrasto con la interpretazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., fornita da questa Corte, intesa come compensazione “equa” -secondo ciò che la comunità sociale, in un determinato contesto storico, ritiene satisfattivo del pregiudizio non patrimoniale subito- e, tendenzialmente, “integrale”, dovendosi riparare un danno per lesione di un interesse della persona di per sé insuscettibile di valutazione economica e quindi difficile prova quanto al preciso ammontare dell’equivalente monetario (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4447 del 25/02/2014)“.
Pertanto, il Giudice di merito deve necessariamente attenersi ai criteri tabellari esistenti al momento della decisione ovvero, qualora intenda discostarsi dagli stessi, fornire adeguata e idonea motivazione, in caso contrario, non può ritenersi che la domanda risarcitoria abbia trovato il dovuto integrale ristoro nella liquidazione effettuata.
A tal proposito, conclude la Suprema Corte, una “tale soluzione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte che ha ravvisato una mera “emendatio”, e non una “mutatio libelli”, nel caso in cui il danneggiato, che abbia introdotto il giudizio richiedendo in domanda il risarcimento del danno in base alle allora vigenti Tabelle, alla udienza di precisazione delle conclusioni richieda, invece, che la liquidazione del danno venga disposta tenendo conto dei nuovi criteri tabellari “medio tempore” adottati dall’Ufficio giudiziario, sempre che, evidentemente, attraverso tale mutamento non si introducano nel giudizio fatti nuovi o nuovi temi di indagine (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1083 del 18/01/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 7768 del 20/04/2016), nonché con il principio affermato nel precedente di questa Corte secondo cui, se le “Tabelle” applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale da morte di un prossimo congiunto cambino nelle more tra l’introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice, anche d’appello, ha l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 7272 del 11/05/2012)“.